Affidamento diretto di servizi istituzionali da ente pubblico non locale a società in house

Parere dell'ottobre 2011

Affidamento diretto di servizi istituzionali da ente pubblico non locale a società in house

 

1. Premesse generali

1.1 E’ anzitutto opportuno precisare che le finalità dell’Ente pubblico non locale che ha chiesto il parere riguardano tra l’altro la promozione e l’organizzazione di una particolare attività a rilevanza esterna che in precedenza è stata per anni appaltata a terzi e che ora si vorrebbe affidare ad una propria società in house.

1.2 In argomento si ricorda che le attività degli enti pubblici possono in linea di ipotesi essere gestite (fatte salve le precisazioni che seguiranno): a) direttamente in proprio; b) mediante affidamenti diretti senza gara o confronto concorrenziale a società che siano loro specifiche emanazioni operative; c) con esternalizzazione mediante affidamenti a terzi secondo le regole dei contratti della P.A..

L’ipotesi delle società braccio operativo, definite in house e qualificabili a volte come organismi di diritto pubblico, si può poi suddividere nelle due categorie delle società a partecipazione pubblica totalitaria ed a partecipazione mista, ossia pubblica e privata.

1.3 Secondo l’ordinamento vigente, comunitario e nazionale, per il conferimento di lavori, forniture o servizi a società in house, ossia appunto in via diretta senza gara, occorre che la società partecipata:

  1. sia a totale partecipazione pubblica;
  2. realizzi la maggior parte delle proprie attività (meglio se totalmente) a favore dell’ente o degli enti soci;
  3. il suo organo gestionale (C.d.A. o A.U.) non disponga di poteri tali per cui gli enti pubblici proprietari delle quote (o delle azioni) della società non siano in grado di effettuare un controllo incisivo ed ulteriore rispetto ai normali poteri di cui già dispone il socio di maggioranza di una qualsiasi società di capitali, secondo il diritto civile;
  4. l’atto costitutivo e lo Statuto non prevedano o addirittura escludano l’ammissione in società di soci privati.

La giurisprudenza, in relazione al requisito alla lettera c), condiziona gli affidamenti in house all’esistenza regolamentare, e non semplicemente di fatto, di un penetrante controllo del socio pubblico sulla società partecipata, controllo che risulti analogo a quello che lo stesso socio pubblico esercita sui suoi uffici o organi interni. Non basta quindi la partecipazione totalitaria pubblica al capitale della società, ma deve essere altresì garantito statutariamente detto controllo analogo che peraltro è stato escluso o comunque ritenuto non sufficientemente salvaguardato in caso di previsione nello Statuto sociale della cedibilità delle quote o delle azioni a soggetti privati. Si ritiene inoltre che, affinché si realizzi una società in house, le decisioni più importanti debbano essere soggette al vaglio preventivo dell’ente pubblico socio (si veda ex multis: Cons.St., sez. V, 8-1-07 n.5).

Ricordo in tema che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 3-3-08 n.1, ha in merito affermato: “L’affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come derivazione o longa manus dell’ente stesso”.

Quanto così richiesto dall’Adunanza Plenaria si realizza, secondo la Corte di Giustizia Europea (v. pronuncia del 10-9-09 in causa C. 573/07), quando l’ente affidante eserciti un’influenza determinante tanto sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni importanti della società affidataria.

1.4 L’affidamento in house costituisce evidentemente un’alternativa all’applicazione della disciplina comunitaria e nazionale in materia di appalti e contratti pubblici (applicabile peraltro anche agli organismi di diritto pubblico). Con esso la P.A. reperisce prestazioni servendosi di un suo ente strumentale, distinto sul piano formale, non però sulla base di una valutazione sostanziale. L’assenza di terzietà decisionale dell’affidatario rispetto all’affidante, nonché la possibilità di considerare il primo quale prolungamento organizzativo del secondo, valgono ad escludere l’applicazione rigida delle procedure contrattuali ad evidenza pubblica. Ciò in sostanza in parziale deroga (V. però quanto sotto al n. 5) alle conseguenze di dettaglio del generale principio di tutela della concorrenza, coniugando o contemperando lo stesso con quello di autorganizzazione, ovvero di autoproduzione, chiaramente riconosciuto (pure in ambito europeo) in capo alla P.A..

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con l’atto di segnalazione 4/8/08 n. 894, ha affermato esplicitamente: “Una deroga di carattere generale all’obbligo di esperire la gara d’appalto è ammissibile nel caso in cui l’affidamento del contratto avente ad oggetto l’acquisizione di beni, servizi o forniture, venga disposto a favore di un soggetto legato all’ente pubblico di appartenenza da un rapporto di delegazione interorganica. Tale assunto è desumibile, a contrario, dall’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 163/06 (Codice dei contratti pubblici). Questo infatti nel prevedere che, “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica, sembra implicitamente ammettere che, almeno nel caso in cui la società risulti controllata al 100% dall’ente pubblico interessato, l’affidamento diretto (o in house) di contratto di acquisizione di servizi o forniture divenga senz’altro un’ipotesi praticabile”.

Anche la Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, 23/1/08 n. 10, ha affermato che “la gestione in house è espressione di un principio generale, sia nazionale che comunitario, di autorganizzazione in forza del quale gli enti pubblici possono organizzarsi per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni di cui hanno bisogno per esercitare le loro finalità istituzionali” (ivi poi si precisa che la gestione in house non vale invece per i lavori pubblici, ex art. 53, comma 1, Cod. cit.).

1.5 Risolto il problema della legittimità comunitaria di una disciplina nazionale che consenta alla P.A., oltre all’esternalizzazione di servizi e forniture, anche l’autorganizzazione o autoproduzione mediante affidamenti in house non ancora definitivamente risolto è il problema della possibilità o meno di tutti gli enti pubblici, e non solo di quelli locali per i soli servizi alla collettività, di ricorrere all’affidamento diretto in house anche in assenza di una specifica previsione legislativa nazionale in proposito. Il problema sorge per il fatto che non esiste una normativa generale degli affidamenti in house, ma risultano soltanto norme speciali, di cui in particolare ricordo appunto quelle in materia di servizi pubblici locali (v. ad es. art. 113, comma 5, lett.c, D.Lgs.vo 267/2000).

Secondo un primo indirizzo (v.ad es. Cons.St.Sez.VI 3-4-2007 n. 15141; Sez.V, 23-10-07 n. 5587; Sez. II, parere n. 456/07) l’affidamento diretto in house previsto per i servizi sociali, in assenza di una esplicita norma, non potrebbe essere utilizzato in altri settori e da parte di altri enti pubblici, per affidare senza gara prestazioni (servizi e forniture) che potrebbero invece essere oggetto di un normale contratto in regime di concorrenza. L’in house non costituirebbe cioè un principio generale, bensì un principio derogatorio di carattere eccezionale, quindi praticabile solo se espressamente previsto nelle singole materie ed in capo a determinati enti pubblici (in proposito, nel senso dell’eccezione alla regola generale delle procedure competitive, si è espressa anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 325/2010).

In senso contrario si sostiene (V. però più ampiamente infra al n. 5) che le società in house (almeno quelle a partecipazione totalitaria pubblica) agiscono come un vero e proprio organo dell’amministrazione dal punto di vista sostanziale (per questo è richiesto il requisito del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi dal socio pubblico aggiudicatore, nonché il requisito della destinazione quantomeno prevalente dell’attività della persona giuridica in house in favore del socio pubblico stesso). Si parla in proposito di rapporto organico tra Amministrazione affidatrice e società che le appartiene in house, tanto che si dice che non si può parlare di un vero e proprio contratto di appalto ma di delegazione interorganica (ciò anche se poi è sempre necessaria una convenzione a latere, definita contratto di servizio, in cui si precisino le prestazioni da compiere).

Stando così le cose, non dovrebbe pertanto richiedersi una norma specifica in assenza di una disposizione generale. Se la società in house è la longa manus, il prolungamento, l’alter ego dell’Amministrazione affidatrice, in sostanza il servizio affidato è come se venisse svolto in proprio in sede di autoproduzione. Questo modo di vedere invero non si è ancora imposto ed è minoritario, per cui permane quantomeno una grave incertezza che si ha il dovere di segnalare. Chi non accetta l’estensione generalizzata dell’affidamento diretto in house si appella anzitutto al principio della tutela della concorrenza, di cui al Trattato C.E. che potrebbe essere contenuto solo in forza di legge in casi specifici (si veda comunque quanto al n. 5).

1.6 Il problema della natura eccezionale dell’affidamento diretto in house deve peraltro essere letto anche alla luce dell’art. 13, comma 1, del D.L. 4.7.2006 n. 223, convertito nella L. 4.8.2006 n. 248 (più nota come “Legge Bersani”), norma che, per evitare distorsioni del mercato e della concorrenza e per contenere la spesa pubblica, ha introdotto il divieto di operare extra moenia per le società a capitale interamente pubblico o misto, partecipate o costituite da amministrazioni pubbliche.

Anche per come il divieto è stato formulato2, di tale norma sono state date due letture interpretative da parte delle sezioni consultive del Consiglio di Stato.

Da un lato, come detto nel parere della Sez. II del 19.4.2007, n. 456 cit., “in tale nuovo regime il d.l. n. 223 del 2006 ha in sostanza equiparato i due diversi modelli delle società in house e del partenariato pubblico-privato” (vale a dire le società miste).

Dall’altro, come detto nel parere della Sez. III, 25.9.2007, n, 322, il riferimento normativo contenuto nell’art. 13 della Legge Bersani alle “Amministrazioni pubbliche locali” invero “ricomprende le attività poste in essere dalla generalità delle amministrazioni pubbliche che perseguono il soddisfacimento di interessi pubblici locali. In sostanza, è l’ambito spaziale – locale – dell’attività pubblica che rende operativa la norma e nulla più. Con la conseguenza che la disposizione in esame, nella sua complessità, si riferisce a tutte le amministrazioni pubbliche che perseguono il soddisfacimento di interessi pubblici entro un dato ambito territoriale”, tra cui le Camere di Commercio, come nel caso sottoposto al parere del Consiglio di Stato.

Da sottolineare inoltre è che, in modo condivisibile, il citato parere n. 322/2007 non solo precisa che “se la ragione della disposizione è quella di ridurre i costi degli apparati pubblici regionali e locali e di tutelare la concorrenza, non v’è dubbio che tale esigenza sussiste anche per le società che fanno riferimento a tutti gli enti locali diversi dagli enti territoriali”, ma soprattutto, pur confermando che “l’istituto dell’affidamento diretto rappresenta un’eccezione all’applicazione della normativa sugli appalti pubblici e, pertanto, la relativa disciplina, deve essere interpretata restrittivamente (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1514/2007; Sez. II, 18 aprile 2007, n. 456/2007)”, tuttavia conclude dicendo che conseguenza di tale eccezionalità è che “proprio un’interpretazione restrittiva dell’ambito di operatività soggettiva della norma si porrebbe in contrasto con l’ordinamento”.

Il parere ha trovato esplicita applicazione giurisprudenziale nella pronuncia del TAR Toscana, 13.3.2009 n. 417, secondo la quale “il generico riferimento alle amministrazioni pubbliche locali” non può “essere letto restrittivamente come riferito ai soli enti territoriali, … dovendo viceversa essere interpretato come avente riguardo a tutte le pubbliche Amministrazioni che perseguano il soddisfacimento di interessi pubblici locali entro un determinato ambito territoriale. In termini può richiamarsi anche lo specifico precedente di TAR Milano, sez. 1^, n. 140 del 2007”.

In definitiva, si può fondatamente sostenere che attraverso l’art. 13 della Legge Bersani, così come interpretato nelle citate pronunce amministrative, il legislatore interno, implicitamente e pur senza una solenne statuizione di principio, abbia legittimato nel nostro ordinamento le società affidatarie in house anche allorché esse siano la longa manus di amministrazioni diverse dagli enti locali territoriali in senso stretto (Regioni, Province e Comuni), purché si tratti di amministrazioni che perseguano il soddisfacimento di interessi pubblici locali entro un determinato ambito territoriale e fermi restando i limiti ristretti, dati dalla natura eccezionale, delle loro operatività in deroga ai principi della concorrenza e del libero mercato.

1.7 Nell’ambito delle presenti premesse, si deve inoltre ricordare che, secondo il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.vo 12-4-2006 n.163), a fianco dei settori speciali (di gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, v. art. 31 Cod. cit.), figurano i settori ordinari nel cui ambito sono poi individuati i contratti esclusi (art. 3, comma 18; artt. 19-20 ed Allegato II B del Codice) che comprendono, tra molti altri, i servizi ricreativi, culturali e sportivi (v. All.to n. 26 al Codice cit.).

Per detti contratti esclusi, tra i quali appunto si annoverano quelli aventi ad oggetto servizi sportivi, vale il disposto dell’art.20, comma 1, del Codice cit., secondo il quale “l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’art. 68 (specifiche tecniche), dall’art. 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall’art. 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati)”. Tali contratti esclusi potrebbero quindi essere definiti anche esenti (in tal senso Cons.St. Ad. Plen. 1-8-11 n.16).

Le specifiche tecniche di cui all’art.68 ed obbligatorie anche per i contratti esclusi richiedono nel bando di gara, nel capitolato d’oneri e nei documenti complementari (ex art.1, n.8, della direttiva 93/38/CEE) i requisiti tecnici relativi in particolare ai livelli di qualità, di utilizzazione, di sicurezza ecc. che nel loro insieme caratterizzano un determinato servizio (od opera o fornitura) e consentono all’appaltante di verificarne in sede esecutiva la rispondenza in concreto agli scopi perseguiti (l’All.to VIII, n.1, lett.b, del Codice cit. definisce compiutamente dette specifiche tecniche).

Con il richiamo all’art. 65, il riportato art.20, c.1, prevede anche per le procedure nel settore dei contratti esclusi l’obbligo di postinformazione del loro esito (ciò ex art. 35 della direttiva 2004/18/CE).

Sempre in tema di contratti esclusi, liberi come detto da vincoli procedurali specifici, salvo che per i richiamati art. 68-65 e 225, vincolante sul piano dei principi generali è però l’art. 27 dello stesso Codice di cui trascrivo il primo comma: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto”.

Si ha rispetto del principio di economicità quando risulti riscontrabile un apprezzabile equilibrio nel rapporto costi/benefici. Il principio di efficacia richiede l’idoneità dell’azione amministrativa rispetto al raggiungimento dello scopo specifico prefissato. La richiesta di imparzialità comporta che questioni e pratiche relative alla stessa materia devono essere trattate secondo gli stessi criteri di valutazione e sotto questo profilo coincide con il principio di legalità. La prescrizione di trasparenza esprime poi un’esigenza connaturata all’azione amministrativa e cioè quella di garantire la conoscenza o quantomeno la conoscibilità degli atti a mezzo dei quali essa si realizza.

Da quanto precede si può dedurre che, nel caso di appalto a terzi (e non di affidamento ad una società in house) dell’organizzazione e della realizzazione dell’evento de quo, pur non essendo rigorosamente vincolanti le norme specifiche del Codice in tema di procedure aperte, procedure ristrette, contratti sottosoglia o soprasoglia comunitaria e procedure negoziate, l’Ente interessato dovrà comunque attenersi ai richiamati principi e modalità di cui ivi agli artt. 27 e 20 ed in particolare dovrà invitare almeno cinque potenziali interlocutori, purché il particolare oggetto dello stipulando contratto lo consenta.

1.8 Si concludono queste premesse con un cenno alle società miste, ossia a partecipazione pubblica e privata, che però sono state prese in considerazione dall’ordinamento e dalla giurisprudenza in modo esplicito e ripetuto soltanto per i servizi pubblici locali di rilevanza economica e quindi in una materia diversa da quella qui in esame.

Tali società miste infatti, nella materia specifica dei servizi pubblici locali, sono disciplinate dall’art. 32, comma 3, del Codice dei contratti che le esonera dall’applicazione delle regole di questo qualora: a) la scelta del socio privato sia avvenuta nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica; b) lo stesso socio abbia i requisiti di qualificazione previsti dal Codice in relazione alle prestazioni per cui la società è stata costituita; c) questa provveda in via diretta alla realizzazione dell’opera o del servizio in misura superiore al 70% del relativo importo.

La recente manovra finanziaria 2011/12 bis (D.L. n. 138/11, convertito con L. n. 148/11, art. 4, c. 16) a sua volta ha in argomento disposto: “L’art. 32, c. 3, del D. Lgs. n. 163/06 e s.m., limitatamente alla gestione del servizio per il quale le società di cui al comma 1, lettera c, del medesimo articolo (cioè società con capitale pubblico anche non maggioritario, che non siano organismi di diritto pubblico) sono state specificamente costituite, si applica se la scelta del socio privato è avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio …”. Questa nuova disposizione, recependo precedenti comunitari e giurisprudenziali, prevede cioè procedure competitive ad evidenza pubblica a doppio oggetto, ossia per la scelta del socio privato tanto finanziario che contemporaneamente operativo con attribuzione di specifici compiti. A dette condizioni l’affidamento del servizio (previsto fin dall’inizio) può essere direttamente conferito alla società (mista) di scopo, senza un’ulteriore gara essendo assorbente e sufficiente quella a doppio oggetto già realizzata in sede di scelta del socio (non solo finanziario ma pure industriale-operativo).

Il richiamato comma 16 dell’art. 4 del D.L. n. 138/11 conferma e fa proprio l’indirizzo espresso in dottrina secondo il quale, nonostante che il referendum 12-13/6/11 abbia abrogato l’art. 23 bis del D.L. 25/6/08 n. 112, permane la possibilità per gli enti locali di affidare la gestione dei loro servizi pubblici a rilevanza economica a società miste ancorché sia caduto (a seguito appunto del referendum) il limite minimo del 40% del capitale privato da porre a base della gara a doppio oggetto.

Anche la Corte di Giustizia Europea, nella sentenza 15/10/09 nella causa C – 196/08, ha chiarito che, per l’aggiudicazione di appalti o per l’affidamento di determinati compiti a partenariati pubblico – privati, non sono necessarie due procedure di gara ma che, affinché si possa assegnare la realizzazione di un servizio (od altro) ad una società mista costituita ad hoc, devono essere soddisfatti entrambi i seguenti criteri:

– Il socio privato deve essere selezionato mediante una procedura trasparente, con pubblicazione anticipata del contratto, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e amministrativi delle caratteristiche dell’offerta in considerazione dello specifico servizio da fornire.

– La società mista pubblico – privato deve mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione; qualsiasi modifica sostanziale dell’oggetto sociale o del compito affidato comporterebbe l’obbligo di indire una nuova procedura di gara concorrenziale”.

Per completezza ricorso che nella Relazione sui partenariati pubblico-privati del Parlamento europeo del 26/10/2006 si afferma, al punto 40, che, “se il primo bando di gara per la costituzione di un’impresa mista è risultato preciso e completo, non è necessario un ulteriore bando di gara” (nello stesso senso: Corte Conti, sez. reg. controllo Sicilia, 2/4/08 n. 14).

2. Ipotesi di affidamento di attività esterne dell’Ente ad una società in house

2.1 L’Ente pubblico (non locale) che ha chiesto il parere si riferisce ad una sua società in house che, pur appartenendogli per il 100% del capitale, nello Statuto non contiene sufficienti elementi comportanti la voluta natura di prolungamento e strumento operativo dell’Ente. Lo Statuto è infatti tipicamente privatistico, prevedendo una pluralità anche estesa di soci e nessun richiamo alle attività dell’Ente socio unico.

In relazione a quanto esposto ai nn. 1.3 e 1.4 in tema di società in house, vale evidenziare che nell’attuale Statuto della S.r.l. presa in considerazione non figurano norme, né sufficienti richiami in merito a:

– previsione inderogabile della partecipazione totalitaria (unica o plurima) di soli enti pubblici omogenei;

– previsione di un controllo del socio o dei soci pubblici più accentuato di quello civilistico che assegni al/ai soci controllante/i un effettivo potere di indirizzo, direzione e supervisione dell’attività della S.r.l. in ordine ai più importanti atti gestionali;

– prevalenza, quantomeno, dell’attività della stessa S.r.l. a favore dell’Ente o degli Enti pubblici che ne diventassero soci e la controllassero;

– evidenziazione delle finalità pubbliche (che c’è già in parte) e della natura pubblica delle funzioni da assolvere con i conseguenti obblighi di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, obblighi per legge a carico delle Pubbliche Amministrazioni;

– stretta connessione delle attività societarie con gli interessi perseguiti dall’Ente affidante (di conseguenza andrebbe di contro ristretto l’attuale oggetto sociale di tipo privatistico);

– attribuzione in esclusiva all’Assemblea e quindi al socio unico o ai soci (solo pubblici) di particolari poteri di natura autorizzatoria rispetto alle scelte degli amministratori;

– riserva all’assemblea di competenze, anche preventive, particolari (ad es. in ordine a: – budget di esercizio; – piani di investimenti; – piani industriali; – programma annuale o pluriennale; – acquisizione o dismissione di beni immobili e di azienda o rami d’azienda; – materie non delegabili dal C.d.A.; – limitazione a tre dei consiglieri, trattandosi di società di capitale sociale non superiore a due miliori di euro);

– relazione annuale da parte del C.d.A. sullo stato della società, ad ampio spettro;

– previsione, in caso di più soci pubblici, del potere di controllo pieno per ciascuno;

– possibilità di convocazione dell’Assemblea anche da parte del o dei soci.

2.2 Ciò premesso, si ribadisce che, secondo i già richiamati principi generali in materia di società in house (dettati pure dalla Circolare 21/10/2001 del Dipartimento Politiche Comunitarie), l’Ente dovrebbe esercitare sulla sua S.r.l. un controllo analogo a quello che lo stesso esercita sui propri organi o uffici, mentre la stessa S.r.l. dovrebbe realizzare (appunto quale società in house ed in forza di regole statutarie esplicite) a favore dell’Ente stesso la parte più importante se non addirittura esclusiva delle proprie attività. Queste due caratteristiche non trovano però al momento esplicito riscontro nello Statuto sociale della S.r.l in parola.

2.3 A quanto sopra consegue che, in vista dell’eventuale affidamento diretto in house alla S.r.l. della organizzazione e gestione della prevista attività e se si ritenesse di superare l’incertezza di cui sopra al n.1.5, appare necessaria una decisa rivisitazione dell’attuale Statuto societario in cui si provveda all’eliminazione delle lacune sopra richiamate al n. 3.2 e si stabiliscano:

– la totale partecipazione pubblica nella s.r.l., con esclusione di qualsiasi partecipazione privata;

– il controllo analogo di cui si è detto da parte del socio ente pubblico sulla società;

– la previsione della prevalenza dell’attività di questa a favore dell’ente socio controllante.

Per garantire il predetto controllo (analogo a quello dell’Ente sui propri settori o servizi), nello Statuto si dovrebbero introdurre norme che affermino:

– la stretta connessione tra l’attività societaria e gli interessi pubblici del medesimo;

– l’attribuzione in esclusiva all’Assemblea, e quindi al socio unico, di maggiori poteri (budget di esercizio; piani di investimento; programmi annuali e pluriennali; acquisizione e dismissione di beni immobili e aziende o rami di azienda e simili);

– la corrispondente limitazione dei poteri degli organi amministrativi della società;

– la limitazione altresì dei poteri di delega a singoli amministratori da parte del C.d.A., con previsione cioè di alcuni poteri non delegabili;

– l’obbligo di informativa periodica da parte del C.d.A. della S.r.l. all’Ente sullo stato e l’andamento della società.

2.4 In sostanza, ritengo necessario, in vista dell’affidamento diretto in questione (sempre se si ritenesse di superare quanto al n.1.5) e senza disattendere le disposizioni del codice civile in materia, introdurre nelle regole statutarie una serie di disposizioni che concorrano a garantire il maggior controllo possibile del socio pubblico sulla sua S.r.l. e la massima trasparenza dell’operato di questa nei relativi rapporti.

2.5 L’organizzazione e la gestione di attività dell’Ente, qualora venissero affidate in house alla S.r.l., richiederebbero ovviamente un’adeguata integrazione degli organici e della struttura di quest’ultima.

3. Ipotesi alternativa di una nuova società partecipata al 100% dall’Ente

3.1 L’affidamento in house in parola potrebbe essere realizzato (forse più convenientemente) mediante la costituzione di una nuova società ad hoc, interamente partecipata. In tal caso nel costituirla si dovrà recepire integralmente ed esplicitare quanto precisato al n. 2.3, tenendo conto dei principi generali in materia (esposti ai nn. 1.3 e 1.4) dettati a tutela della libera concorrenza delle imprese.

3.2 Naturalmente in sede attuativa dovranno essere messi a fuoco, oltre a quelli statutari e giuridici, gli aspetti finanziari ed organizzativi interni, correlati all’importanza ed alle dimensioni delle attività (servizi) in affidamento diretto.

3.3 Per scrupolo professionale, si ricorda che in materia societaria, ai sensi dell’art. 2476, comma 7, C.C., “sono solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società”, sicché, stante lo stretto collegamento tra Ente e società in house, il primo potrebbe essere chiamato a rispondere delle eventuali perdite della seconda che risultassero frutto di scelte dannose condivise.

3.4 E’ comunque evidente che la richiamata (ma contestata) tesi della non estensibilità dell’affidamento diretto al di fuori del settore dei servizi pubblici e degli enti locali, di cui sopra al n.1.5, varrebbe (se accolta) anche in caso di una società a totale partecipazione pubblica appositamente costituita ex novo.

4. Ipotesi di società mista di scopo

4.1 In forza di quanto anticipato al n. 1.8 ritengo che si debba valutare poi l’ipotesi dell’affidamento diretto ad una nuova società ad hoc con la partecipazione di un socio privato (o più soci) anche operativo, purché la costituzione avvenga mediante una procedura competitiva concorrenziale trasparente a doppio oggetto, nei termini di cui ho riferito. E’ vero che i discorsi fatti riguardano specificamente i servizi pubblici a valenza economica degli enti locali e quindi non in modo esplicito il caso in esame, ma è anche vero che essi a maggior ragione dovrebbero valere per l’organizzazione di attività di diversa valenza (ad es. culturale e ricreativa) rientrante nella categoria di cui all’Allegato II B del Codice dei contratti pubblici (v. sopra al n. 1.7), categoria per la quale sono richiesti soltanto il rispetto dei principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità, nonché l’invito ad almeno cinque concorrenti (se compatibile con l’oggetto del contratto), oltre alla preventiva indicazione delle specifiche tecniche ed alla postinformazione ex artt. 68 – 65 e 225 del Codice cit.. Ciò restando affidate alla discrezionalità dell’Ente promotore le modalità ed i tempi della procedura concorrenziale.

4.2 Anche in ordine al caso dell’affidamento a società mista a seguito di gara a doppio oggetto, appare prevalente la presa di posizione della giurisprudenza che considera praticabile detto percorso solamente nei casi e da parte dei soggetti pubblici considerati da norme specifiche di legge e quindi esclusivamente per i servizi pubblici locali e da parte di Comuni, Province e Regioni.

Infatti, anche in tema di società mista a partecipazione pubblica maggioritaria costituita con gara a doppio oggetto, è stata espressa dal Consiglio di Stato, Sez. VI 16-3-09 n. 1555, la necessità che esista una norma che autorizzi l’amministrazione ad avvalersi di tale procedura. Nello stesso senso si vedano il già richiamato parere della II Sezione del Cons. di Stato n. 456/2007 e la pronuncia della V Sezione 23-10-2007 n. 5587.

4.3 Va di contro evidenziato che, trattandosi di un contratto escluso, cioè esente dall’applicazione dei procedimenti formali del Codice dei contratti pubblici salva l’applicazione dei principi sopra richiamati al n.1.7 ma comunque con l’invito ad almeno cinque possibili interessati, nulla impedirà all’Ente di indire una procedura negoziata plurima a doppio oggetto. In tal caso, trattandosi appunto di contratto escluso, libero nelle forme purchè si rispettino i criteri cit., non si potrà affermare che si tratterebbe di un’indebita eccezione al principio della libera concorrenza nel mercato. Nella specie pertanto esiste una norma che esenta da specifiche procedure e quindi non reggerà la tesi restrittiva della giurisprudenza, se saranno rispettati i vincoli delle gare a doppio oggetto.

4.4 La società mista in parola potrà anche essere oggetto del controllo analogo di cui al n.1.3. Se lo fosse, l’affidamento diretto alla medesima della gestione dell’attività considerata potrebbe avere un doppio sostegno, quello della gara (mediante procedura negoziata plurima) e quello della tesi secondo la quale l’affidamento in house è espressione di un principio generale (v. sopra al n.1.4 ed infra al n. 5.1).

4.5 Ultimo problema nel caso della società mista è rappresentato dall’alternativa tra l’affidamento del servizio alla stessa e l’affidamento invece al socio industriale operativo. Le norme in materia sopra richiamate (specifiche per i servizi pubblici locali) alludono tutte all’affidamento alla società. Il Consiglio di Stato nel parere della Sez.II n.456/07 parla invece di “affidamento dell’attività operativa”. Questa espressione potrebbe anche solo significare che il socio privato debba essere scelto tra imprenditori del settore cui si riferisce il servizio, in possesso dei requisiti soggettivi necessari. Potrebbe inoltre presupporre la necessità di una regolamentazione contrattuale più complessa, affiancata al contratto di società, in forza della quale l’attuazione in concreto del servizio sia assegnata al socio operativo privato, con la sua organizzazione di impresa. Infine detta espressione potrebbe invece significare che il conferimento delle quote del socio operativo (come avviene nelle società con soci d’opera) debba essere effettuato in natura, ossia mediante prestazioni individuate La scelta tra queste possibilità potrebbe essere espressa nell’invito alla procedura (negoziata plurima) a doppio oggetto.

5. Estensibilità a tutti gli enti pubblici dell’in house providing.

5.1 Con riferimento al contrasto di opinioni ed alla conseguente incertezza di cui si è riferito al n.1.5 e in aggiunta a quanto già esposto nelle premesse al punto 1.6 si sente la necessità ed il dovere di precisare la personale opinione (che ovviamente non mette a riparo da rischi e non può certo annullare la tesi opposta) in merito all’estensibilità in generale delle gestioni in house (nei termini rigorosi sopra specificati).

Anzitutto appare importante sottolineare che non è per nulla pacifico che l’affidamento diretto ad una società in house (ossia in casa) possa essere ritenuto in deroga al principio della tutela della libera concorrenza nel mercato. Se si tratta di un rapporto organico tra l’ente e la società dallo stesso partecipata in modo del tutto peculiare, ovvero di una delegazione interorganica, non si può parlare di una vera e propria esternalizzazione (outsourcing) e quindi di un accesso dell’ente pubblico al libero mercato.

Personalmente si ritiene, nonostante le accreditate opinioni contrarie, che il fenomeno dell’in house providing, ossia della gestione in casa senza ricorrere al mercato, debba essere definito nel suo insieme come un sistema organizzativo interno degli enti pubblici in relazione ai propri organi ed alle loro funzioni, quale espressione del potere di autoregolamentazione e autorganizzazione, proprio di qualsiasi P.A.. Questo purché si tratti di società realmente in house, nei termini diffusamente esposti.

5.2 Come esposto al n.1.4, la società in house si distingue soggettivamente sotto il profilo giuridico formale dall’ente pubblico che la promuove e guida (è infatti una persona giuridica di diritto privato) ma dal punto di vista sostanziale non è in posizione terza, essendo invece lo strumento, il prolungamento, ossia un’emanazione dell’ente che la possiede ed esercita su di essa un controllo tanto stretto da poter esser qualificato come analogo a quello dell’ente stesso sui suoi organi ed uffici, per il perseguimento dei propri fini istituzionali.

5.3 E’ noto che il nostro ordinamento concepisce l’attività degli enti pubblici diversa dall’esercizio delle funzioni autoritative come espletabile secondo due distinti modelli. Il primo è quello del ricorso alla prestazione di un soggetto formalmente ma anche sostanzialmente diverso ed esterno rispetto all’Amministrazione, qualificabile come terzo, selezionato secondo le regole sulla evidenza pubblica. Il secondo è quello del ricorso a sistemi organizzativi interni che consentono alla P.A. di reperire risorse economiche, umane e tecniche all’interno appunto della propria struttura in essere.

Il primo modello si affida al mercato, il secondo no, perchè, anche quando con la soluzione della società in house ricalca moduli organizzativi di diritto privato, fa comunque salva non solo l’imputazione dell’attività ma pure lo svolgimento della medesima in capo all’Ente pubblico. Ciò significa che nel caso della gestione in proprio mediante società in house non vi è un mercato da tutelare e garantire, perché ci si trova nell’ambito di un potere esercitato in forza e conformità dei profili organizzativi dell’Amministrazione che hanno origine e supporto nell’essenza del pubblico potere. Per questo si parla nella specie di affidamento diretto ad un centro di interessi interno all’Amministrazione, equivalente ad un ordinario esercizio del potere organizzativo della stessa. In altri termini, l’affidamento in house nella sostanza rappresenta una scelta organizzativa interna alla P.A., non diversa nella sostanza dalle ordinarie e diffuse determinazioni sull’organizzazione degli uffici e delle articolazioni degli enti pubblici.

5.4 A conferma di quanto precede, richiamo la seguente affermazione del Consiglio di Stato, Sez. VI, 23-9-2008 n.4603 (in Foro amm. C.d.S., 2008, 2506): “La società in house agisce come un vero e proprio organo dell’Amministrazione dal punto di vista sostantivo in ragione del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi dall’Amministrazione aggiudicatrice e della destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’Amministrazione stessa”. Se così stanno le cose, non è in materia invocabile la tutela della concorrenza nel mercato e quindi non si spiega la limitazione dell’istituto in parola, da parte di una certa giurisprudenza, ai soli servizi pubblici locali facenti capo a Comuni, Province e Regioni. Non trattandosi cioè di eccezione alle regole del mercato, non si possono intendere come eccezionali le norme che prevedono l’in house solo in tali limiti e quindi come norme non applicabili al di fuori del loro specifico ambito, ex art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile. Tali norme, in linea con l’ordinamento europeo e l’insegnamento della Corte di Giustizia, riconoscono a determinate condizioni la possibilità giuridica delle società in house. La previsione esplicita italiana dell’in house providing per i soli servizi pubblici locali non impedisce invece di per sé l’adozione di detto modello anche in altri ambiti da parte di qualsiasi P.A. che altrimenti sotto tale aspetto risulterebbe immotivatamente mortificata.

5.5 Riassumendo il discorso in linea di principio, si ritiene di affermare che non si possa porre il rapporto fra in house providing (gestione in casa) ed outsourcing (esternalizzazione) in termini di eccezione/regola, essendo invece conforme ai principi di buona amministrazione (art. 97 Cost.) optare per la necessità di una reale ed oggettiva motivazione da parte della P.A. che, rinunciando ad operare direttamente sulla base della sua organizzazione, decida di ricorrere all’apporto esterno di imprese operanti in regime di libera concorrenza.

La regola primaria è quella dell’azione diretta, quindi l’eccezione è il ricorso al mercato, non l’utilizzo dell’in house providing.

Sul tema poi della motivazione della scelta dell’affidamento diretto le pronunce amministrative non sono peraltro concordi.

Da una parte si sostiene che in caso di affidamento in housese è vero che può pure rivelarsi non necessaria un’apposita ed approfondita motivazione della “scelta finale” in questo senso eseguita, è altrettanto vero che, nella fase precedente alla manifestazione della propria “scelta finale”, la p.a. deve dimostrare non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l’autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all’affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l’operato della p.a.” (Cons. Stato, Sez. V, 8.2.2011 n. 854), e che il modello “in house” deve essere utilizzato “motivatamente e con cautela, laddove si tratti di un servizio di rilevanza economica e cioè di servizio che possa essere ordinariamente soddisfatto mediante ricorso al mercato, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria” (così TAR Veneto, 8.2.2010. n. 336).

Dall’altra è stato invece deciso che “in applicazione dei principi di economicità e di trasparenza dell’azione pubblica, la P.A. di appartenenza di una società in house deve esternare le ragioni per le quali ritiene di non avvalersi della struttura domestica su cui esercita il c.d. controllo analogo, rinunciando alla delegazione interorganica nei confronti di strutture sostanzialmente interne alla P.A. medesima, per esternalizzare il servizio mediante il più oneroso ricorso al mercato“ (TAR Abruzzo, 24.3.20110. n. 162) e che “la scelta operata dall’Amministrazione Comunale di affidare, mediante il modulo dell’in house providing, il servizio di gestione dei parcheggi pubblici, in presenza dei rigorosi presupposti di legge legittimanti tale affidamento, consente di escludere la necessità di una stringente esternazione motivazionale circa il ricorso a detto sistema di affidamento” (T.A.R. Lecce, 11.2.2008, n. 432; negli stessi termini T.A.R. Cagliari 21.12.2007, n. 2407).

Avv. Giuseppe Onofri

(4 ottobre 2011)

1 Ivi si legge: “Si deve tenere presente che la Corte di Giustizia ha affermato che: i requisiti dell’in house providing, costituendo un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, devono essere interpretati restrittivamente (Corte di Giustizia, 6 aprile 2006, C-410/04).
Ciò significa che l’in house non costituisce un principio generale, prevalente sulla normativa interna, ma è un principio derogatorio di carattere eccezionale che consente, e non obblighi, i legislatori nazionali a prevedere tale forma di affidamento”.

2Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti”.